Mercoledì 13 giugno, alle ore 5 del mattino, una squadra della Digos di Reggio Emilia ha fatto irruzione nelle case di due compagni dello Spazio Autorganizzato R60, perquisendo e sequestrando alcuni effetti personali. La perquisizione è stata successivamente estesa alla sede dello Spazio, in Via Berta 4/C, in qualità di luogo frequentato dagli stessi. I compagni, infine, sono stati portati in questura da dove, dopo ore di compilazione dei verbali e analisi del materiale sequestrato, sono stati rilasciati attorno alle 14.
Nonostante tale perquisizione sia stata effettuata nello stesso giorno in cui, a livello nazionale ed internazionale, si portava avanti l’Operazione Ardire di cui si è ampiamente parlato in questi giorni (operazione contro il ‘terrorismo anarchico internazionale’ effettuata a danno di molti compagni, ai quali, comunque, diamo la nostra solidarietà!), essa non ha niente a che fare con quell’operazione.
L’obiettivo delle forze di polizia è stato chiaramente quello di aggravare la circostanza assimilandola ad un’azione antiterroristica internazionale, puntando, così, gli occhi sullo Spazio R60, per screditarlo.
Il mandato con cui la Digos è entrata nelle case dei nostri compagni e nella nostra sede politica è, infatti, un avviso di indagini in corso solo in merito ad alcune scritte no tav, offensive rispetto al capo dello stato o altre cariche istituzionali, comparse sui muri di Reggio Emilia durante lo scorso inverno.
Tutto questo non fa che confermare la nostra ipotesi di repressione preventiva nei confronti del Collettivo R60, contro cui nei giorni seguenti non hanno esitato a scagliarsi anche i giornali, con tesi accusatrici e francamente ridicole.
Il collettivo R60 è un collettivo da poco presente sul territorio reggiano, ma la sua natura ed i progetti che porta avanti evidentemente non sono ben graditi da alcuni. In poco tempo il Collettivo:
-ha assunto posizioni di rottura senza compromessi con tutti i ‘regimi’ locali;
-ha solidarizzato con chi lotta per questioni politiche, ambientali, lavorative;
-seppur in piccolo, ha creato uno spazio sociale e culturale alternativo rispetto a quello che offre una città ormai povera di stimoli;
-ha dimostrato che i giovani pensano ancora e che è possibile scuotere le coscienze ed organizzarsi dal basso;
-ha avviato una battaglia contro il parcheggio interrato in Piazza della Vittoria, mostro edilizio e
speculativo a mero interesse privato e contrario invece a quello del cittadino;
-ha motivato il suo dissenso rispetto alle mozioni liberticide approvate nelle ultime settimane in città, di cui probabilmente molti sono all’oscuro;
-si è posto in contrasto al fascismo al di la delle inutili retoriche istituzionali.
Per tutti questi motivi siamo convinti che i fatti del 13 giugno non siano stati altro che un’abile mossa messa in piedi dalle istituzioni di questa città per tappare la bocca a chi ha qualcosa da dire che vada al di fuori degli schemi stabiliti dai vertici. Questo è uno schema generale, specie in un periodo come quello attuale, in cui istillare coscienza a chi subisce l’oppressione di questo sistema economico significa accendere una miccia distruttiva. Così come in altre parti d’Italia, i movimenti come il No Tav, quello degli operai di Fincantieri o dei disoccupati di Napoli, vengono criminalizzati poiché propongono un’alternativa a questo sistema, anche a Reggio Emilia la repressione punisce chi alza la testa di fronte alle misure di lacrime e sangue. Sono stati, quindi, criminalizzati alcuni dei suoi membri attraverso le esagerate operazioni della questura ed è stato infamato il Collettivo stesso, dipinto come un covo di terroristi da ignoranti pennivendoli al servizio delle istituzioni.
Crediamo che quanto successo sia solo un prepotente metodo per intimidire i ragazzi colpiti, nonché i membri tutti del Collettivo, un chiaro avvertimento del pericolo che si corre quando si decide di fare politica dal basso, una politica reale, capace di dire no ai compromessi e lottare contro un mostro mastodontico, il capitalismo, che è ormai penetrato nelle viscere della nostra società così a fondo da impedirci di capire che quanto successo è, in tutto e per tutto, un barbaro attacco fascista alla nostra libertà critica e politica.
Chiediamo, infine, ai giornalisti di astenersi dal fare commenti fuori luogo o inesatti. A loro comunichiamo che il nostro simbolo non è un carro armato a emblema della nostra condotta militaresca, ma un trattore, l’R60, uno dei più grandi simboli di libertà e dignità della storia reggiana, che molti, evidentemente, hanno dimenticato.
Collettivo AutOrganizzato R60
Via Berta 4/c – Reggio Emilia
r60@inventati.org