Il recente inasprimento delle lotte sociali in risposta all’arroganza dei poteri economico-finanziari e politici, unici responsabili della crisi e delle misure d’austerity, ha portato ad un rafforzamento in senso repressivo dell’operato delle procure e delle forze di polizia.
Dalle lotte per la difesa del territorio e dell’ambiente in ValSusa e a Niscemi a quelle per la difesa dell’autodeterminazione di lavoratori e studenti, dalle lotte per i beni comuni a quelle contro gli sfratti di case e spazi di socialità, laddove non arriva l’onda violenta dei manganelli di certo vi giunge l’azione persecutoria e penale delle procure con indagini, denunce, perquisizioni e ordinanze di misure e custodie cautelari spesso sproporzionate o addirittura illecitamente restrittive delle libertà.
A tale deriva autoritaria e repressiva fa sempre seguito una campagna di criminalizzazione mediatica (mossa ad hoc da una precisa regia politica), che, quando non è generalizzata, è chiara manifestazione di un’odiosa separazione tra antagonismi buoni e cattivi con il palese tentativo di indebolire e spaventare i movimenti e le mobilitazioni di protesta.
Nella “democratica” e “rossa” Reggio Emilia accade che, con la semplice accusa di aver commesso un semplice reato di opinione (una scritta con vernice spray NO TAV contro Napolitano) due attivisti del Collettivo Autorganizzato R60, dopo aver subito la perquisizione dei propri domicili, sono stati sottoposti alle misure cautelari dell’obbligo di dimora nel territorio del comune con divieto di uscita notturna dalle 22 alle 6.
I loro movimenti erano stati pedinati nientemeno che con un dispositivo satellitare GPS la cui installazione sull’auto di uno dei due è stato motivata col semplice fatto dell’appartenenza a un’organizzazione di estrema sinistra.
La stessa insensata motivazione è stata sufficiente perché la procura intravedesse il pericolo di reiterazione del reato e provvedesse ad emettere l’ordinanza di misure cautelari.
Di certo una notevole sproporzione rispetto ai fatti di cui sono accusati (imbrattamento e offese all’onore e al prestigio del capo dello stato), specie se si pensa che nel frattempo il territorio reggiano, grazie soprattutto alle opere di cementificazione selvaggia, è stato invaso dalle ‘ndrine, dalle cosche mafiose e dai loro loschi affari.
Reggio Emilia, però, è anche la città dove, nel 2009, sempre per una semplice scritta murale, la polizia non solo ha sparato a quattro ragazzi diciottenni militanti dei CARC, ma a distanza di 4 anni si è presentata anche a richiedere i danni in tribunale per un gesto che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi.
Di recente abbiamo osservato come la semplice partecipazione ad un funerale sia diventata motivo di criminalizzazione del movimento NO TAV per la presenza di un attivista reggiano complice e solidale con le popolazioni valsusine o di attacco mediatico e politico, con tanto di minacce di sgombero, verso il Laboratorio Sociale Aq16 che da anni è in prima linea nelle lotte per i diritti dei migranti, dei precari, degli studenti, degli sfrattati ecc.
Ma c’è di più, e di peggio!
Il 25 aprile 2010, alcuni anarchici di Villa Minozzo sono stati denunciati semplicemente per aver esposto una bandiera anarchica (sfondo nero con una stella rossa a cinque punte) presso la sede del centro culturale che ospita l’archivio Enrico Zambonini. La denuncia è costata una condanna commutata poi in multa.
All’alba del 13 agosto 2008 un fitto schieramento di agenti di polizia municipale, polizia di stato, carabineri e digos hanno militarizzato via Compagnoni per sgomberare lo stabile ai civici 39-41 dalle cinque famiglie che lo stavano occupando.
Lo scorso anno, poi, in occasione della giornata del ricordo (10 febbraio 2012) il centro di Reggio Emilia è diventato un’ampia zona rossa a cui è stato vietato l’accesso per tutti gli antifascisti reggiani per motivi di ordine pubblico, cosa che si è ripetuta quest’anno, anche se parzialmente. Il tutto per permettere il regolare svolgimento della fiaccolata dal carattere riduzionista sulle foibe della destra e dell’estrema destra reggiana.
In quell’occasione, mentre da un lato si dava legittimità e agibilità cittadina ai neofascisti reggiani (come già era accaduto in occasione del 10 dicembre 2011 presso la sala civica Zavattini), dall’altro l’esterno del circolo FAI Berneri di via Don Minzoni veniva militarizzato con la presenza costante di un blindato della polizia.
Già nel 2009 i poteri reggiani avevano risposto sissignore alla sperimentazione in città delle leggi speciali (pacchetto sicurezza) e ampiamente testate negli ambienti degli ultras.
Infatti il 31 marzo 2009 a Reggio Emilia, a seguito del decreto sulla sicurezza voluto dall’ex ministro Maroni, entra in vigore, senza alcun dibattito in consiglio comunale, il provvedimento che vieta le manifestazioni e i cortei in tutto il centro storico dalle ore 14 del sabato a tutta la giornata della domenica.
Il 18 aprile 2009 l’assemblea “Io non ho paura”, comprendente numerose singolarità e gruppi dell’antagonismo reggiano, sfida il divieto convocando un happening in Piazza Fontanesi. Ma il pomeriggio si trasforma in un susseguirsi di violenze da parte delle forze dell’ordine con le manganellate contro i manifestanti all’ingresso della piazza e la carica a freddo nella centralissima Via Emilia che determina feriti e contusi anche tra i semplici passanti.
Oggi ci troviamo di fronte ad una recrudescenza generale dei fenomeni repressivi che nel prossimo futuro, siamo sicuri, saranno sempre più legittimati anche da decreti legislativi.
Proprio a dicembre il ministro Cancellieri è ritornata a parlare di grave rischio di disordini e tensioni sociali a causa dell’aggravamento della crisi economica. Un monito che sembra quasi voler suggerire al prossimo governo di realizzare quei provvedimenti speciali libertici, come l’arresto differito e il DASPO del manifestante, già auspicato in maniera bipartisan da tutti gli schieramenti politici in parlamento.
Ma la repressione non consiste solo nell’azione violenta delle forze dell’ordine o nella predisposizione incriminatrice delle procure e dei media.
La repressione è più che mai presente nello scippo della dignità di quanti sono detenuti nelle carceri, negli OPG o nei CIE, nelle politiche securitarie delle amministrazioni locali che diffondono la paura del diverso, nei continui attacchi ai diritti di lavoratori e studenti, nel ricatto del precariato o della disoccupazione, nella privatizzazione dei beni comuni, nella devastazione dell’ambiente e del territorio, nella speculazione edilizia ecc.
Alla luce della costante campagna di criminalizzazione del movimento NO TAV, che traspare in tutta la usa essenza attraverso il megaprocesso in atto presso l’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, e alla luce delle recenti vicende repressive avvenute a Reggio Emilia, alcune individualità dell’attivismo reggiano si sono ritrovati a riflettere in merito alla recrudescenza dell’azione repressiva.
Dall’analisi condivisa è sorta l’opinione comune secondo cui siamo di fronte ad episodi sempre più preoccupanti di controllo e oppressione del dissenso come forieri di un futuro sistema politico che, dietro la facciata della sicurezza, nasconde la costruzione di un regime sempre più autoritario e liberticida in previsione di tensioni sociali sempre più aspre.
In tal senso la Grecia sta facendo da laboratorio per tutta l’Europa non solo per gli effetti della crisi economico-finanziaria e delle misure di austerity, ma anche e soprattutto nella sperimentazione di tecniche e azioni nella repressione del dissenso.
Da qui la necessità di lanciare un appello a tutti i militanti politici e sindacali, ai lavoratori, ai precari, ai cassintegrati, ai disoccupati, agli studenti e ai migranti a costruire un comitato reggiano per la libertà e contro la repressione.
GIOVEDI 28 FEBBRAIO ORE 19 ASSEMBLEA PUBBLICA PRESSO LA CASA CANTONIERA “BETTOLA”