PADRONI E DITTATORI REGGIO NON VI VUOLE

Le simpatie degli industriali reggiani (e di tutto il paese) per i dittatori sparsi qua e là sul pianeta non sono nuove.
Negli anni scorsi sono passati davanti agli occhi di tutti gli affari del capitalismo reggiano con il dittatore libico Gheddafi, così osannato, da sinistra a destra, quando concedeva ampi margini di investimento per i profitti padronali che puntualmente si traducevano in sfruttamento e oppressione dei lavoratori, delle popolazioni e dei migranti. Ma poi Gheddafi è diventato inutile nello scacchiere capitalista internazionale e, come spesso accade in questi casi, è stato seppellito da una pioggia di bombe a garanzia degli interessi dell’industria bellica e di quelli della ricostruzione postbellica.
Dopo l’uscita di scena del dittatore libico, per la classe padronale italiana ed europea è stato fin troppo facile trovare altri regimi dittatoriali. È bastato spostarsi qualche chilometro più a nord o ad est per trovare regimi totalitari come quello di Aleksandr Lukašenko in Bielorussia o quello di Nursultan Nazarbaev in Kazakistan.
Proprio l’ambasciata della Bielorussia, col fine di attirare capitali stranieri per far fronte alla gravissima crisi economica e finanziaria che sta colpendo l’ex repubblica sovietica, ha inviato alle segreterie degli industriali italiani un comunicato stampa attraverso cui ha delineato tutta una serie di vantaggi sugli investimenti nel paese. Ovviamente il comunicato stampa bielorusso pone l’accento sui vantaggi fiscali e doganali degli investimenti, su un mercato di dieci milioni di consumatori, sulla stabilità politica del paese, su un discreto sviluppo della tecnologia Hi Tech, sulla propria posizione geografica strategica al centro tra l’Europa industrializzata e le risorse minerarie dell’Asia… Tuttavia nel comunicato stampa dell’ambasciata Bielorussia è stato omesso (perché tanto il padronato internazionale lo sa bene!) che l’ex repubblica sovietica è a tutti gli effetti un regime totalitario retto in maniera incontrastata dallo stesso dittatore dal 1994, Aleksandr Lukašenko. Un uomo che, allo stesso tempo, ha utilizzato il “democratico strumento delle elezioni” per governare ma anche quelli dell’intimidazione dei suoi avversari politici, della repressione e della manipolazione dei risultati elettorali.
La Bielorussia è, a tutti gli effetti, una dittatura nel cuore dell’Europa dal 1994. Un paese in cui è ammessa la tortura ed è ancora in vigore la pena di morte. Un paese in cui la libertà di parola, di opinione e di stampa sono optional a discrezione del governo e, più violentemente, degli agenti della polizia. Un paese in cui le condizioni di lavoro sono da “Arbeit Macht Frei” (il lavoro rende liberi) l’epigrafe che accoglieva all’arrivo i prigionieri di Auschwitz. Infatti, secondo una denuncia fatta dal sindacato internazionale FISM al congresso di Goteborg nel maggio 2009, i lavoratori bielorussi hanno stipendi medi da fame, vengono perseguitati, incarcerati e licenziati quando aderiscono a sindacati indipendenti diversi dall’unico riconosciuto dallo stato e subiscono ogni forma di oppressione quando partecipano attivamente all’opera sindacale o alla redazione di bollettini. Spesso la repressione da parte del regime si estende anche ai familiari dei lavoratori che si ribellano, ma le vittime predilette della dittatura bielorussa sono i giovani. Pedinati, schedati, privati delle loro libertà e della loro essenza giovanile le ragazze e i ragazzi bielorussi vengono condotti in carcere con una facilità inaudita. Basta avere una cresta punk o un look più rockettaro per passare immediatamente sotto le attenzioni della polizia e essere espulsi e rifiutati da ogni scuola e Università del paese.
Dal 2006 al 2010 sono stati circa 700 gli studenti a cui è stato vietato a vita ogni diritto allo studio e alla conoscenza. La loro unica colpa è stato il loro dissenso verso il regime espresso in maniera pacifica attraverso la parola, la cultura, l’arte, la musica e ogni altra forma di creatività.
Di recente il governo della Russia Bianca, al solo scopo di garantire un maggiore controllo del web, ha “nazionalizzato” la rete. In pratica, attraverso l’emanazione di una legge liberticida, è stato disposto che tutti usino domini nazionali se vogliono aprire un sito internet, sia per forniture di servizi o per vendita. In particolare la legge impone restrizioni sulla visite e sull’utilizzo di siti web stranieri da parte dei cittadini bielorussi e persino dei residenti.
Per anni il PIL della Bielorussia è incrementato e la disoccupazione è rimasta molto ridotta. In realtà il paese si è retto su giganteschi aiuti e agevolazioni della Russia è ha vissuto di esportazione di armamenti. Saddam Hussein riceveva armi da Minsk. Mahmoud Ahmadinejad è tuttora suo cliente. Lo sterminio della popolazione del Darfur è stato condotto con armi made in Lukashenko. In aree instabili come i Territori palestinesi, il Libano, lo Yemen, il Congo e in zone che potrebbero tornare ad esserlo come i Balcani e il Caucaso, eserciti regolari e milizie irregolari si armano grazie a Minsk.
Oggi la Bielorussia non se la passa bene: nel 2010 il paese ha avuto bisogno di una richiesta di prestito al Fondo Monetario Internazionale (FMI) per evitare la bancarotta e attualmente il suo debito è simile a quello greco. A differenza del paese ellenico, però, la Bielorussia non appartiene all’UE e non può contare sui suoi aiuti e il suo fedele alleato russo sembra più intenzionato a prolungarne l’agonia che a fornire un aiuto deciso, forse con lo scopo di ottenere in futuro un controllo completo del paese.
In questo scenario la Bielorussia ha urgente bisogno degli investimenti stranieri dell’Europa Occidentale a cui il mercato unico esteso, in particolare ai paesi dell’ex blocco sovietico, sta molto a cuore come già espresso negli obiettivi della “Strategia Europa 2020” e nella “Vision 2025” della ERT, acronimo di European Round Table of Industrialist (tavola rotonda europea degli industriali).
Il comunicato stampa dell’ambasciata Bielorussia offre una notevole opportunità ai padronati europei di spostare e dare sostenibilità ai propri capitali, di ampliare il proprio target di consumo, di usufruire di agevolazioni fiscali e doganali, di ricorrere a costi ridotti di produzione, di sfruttare a pieno il basso costo di manodopera e l’assenza totale di diritti sul lavoro, di accrescere la propria avidità e competitività rispetto alle economie russe, americane e asiatiche.
Pur conoscendone già la risposta, ci domandiamo come sia possibile che le istituzioni politiche ed economiche della città di Reggio Emilia “così attente alla democrazia e alla legalità, così sensibili alle politiche di pace e di libertà e così pronte nella lotta contro le dittature e le mafie”, diano risalto e legittimità all’arrivo dell’ambasciatore e alla presenza sul territorio del consolato di un paese in cui regna un regime di persecuzione e morte.

“,,, Si lui è stato un fascista al potere, un perfetto idiota al potere, che uccise tantissima gente, ma unì la nazione usando la forza. Ha raggiunto un risultato, o sbaglio? Per questo non vedo perché mi dovreste condannare del fatto che uso la forza contro il mio Paese. A suo tempo la Germania fu ricostruita sulle sue rovine in breve periodo, e non solo brutte cose in Germania sarebbero da attribuire, al ben noto Adolf Hitler. Credo che le persone non possano essere etichettate come bianco o nero, ci sono anche altre sfumature, Hitler fondò una forte Germania grazie al suo forte potere presidenziale. La Germania si è sviluppata negli anni, e sotto il controllo di Hitler raggiunse il suo apice. Tutto ciò è in linea con la nostra idea di Repubblica Presidenziale”.
(Dichiarazione di Aleksandr Lukašenko in una intervista di Yuri Khashchevatsky, nel suo documentario “An ordinary President”)

Collettivo Autorganizzato R60
Via Berta 4/c – Reggio Emilia
r60@inventati.org

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NO PARCHEGGIO

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SOSTENIAMO LA LOTTA NOTAV!

La mattina del 27 febbraio 2012 lo stato, con arroganza autoritaria e militare, ha iniziato ad
espropriare le terre alle popolazioni della Val di Susa per ampliare il perimetro dei cantieri per la
realizzazione della linea alta velocità Torino-Lione, una “grande opera” inutile, dannosa, costosa e
fonte di finanziamento alle mafie e ai partiti.
IL TAV È INUTILE perché è stata pensata più di vent’anni fa quando si riteneva che il traffico
merci sulla direttiva Italia Francia sarebbe cresciuta mentre oggi si osserva che quel traffico è in
costante diminuzione. Analogo il discorso per quanto riguarda il numero di passeggeri. Esiste già
una linea TGV che collega Torino a Parigi, ma le analisi dei flussi passeggeri dimostra che essa è
sottoutilizzata.
IL TAV È DANNOSO perché oltre allo scempio ambientale e paesaggistico e oltre all’enorme mole
di rifiuti generati dai lavori di scavo, vi è anche un altissimo rischio per l’amianto e l’uranio di cui
diversi studi tecnici ne hanno constatato la presenza nelle rocce che saranno interessate dagli scavi
per il tunnel di 54 Km in Val Susa.
IL TAV È SPRECO DI DENARO PUBBLICO perché è una infrastruttura che costerà alle tasche
dei contribuenti intorno ai 25 miliardi di euro senza alcun investimento di capitale privato, ma con
massimo guadagno per i contraenti dell’opera che si vedono regalati mezzi e capitali senza nessuna
contropartita. Il costo di un km di Tav si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Quanti letti
d’ospedale, quante scuole, quanto stato sociale ci vengono sottratti da questa grande opera?
IL TAV È FINANZIAMENTO ALLE MAFIE E AI PARTITI perché dietro la struttura di appalti
e subappalti che presiede alla realizzazione della “grande opera” vi è un alto rischio di infiltrazioni
mafiose e, contestualmente ad esso, un facile meccanismo di finanziamento ai partiti e alla politica
di palazzo non a caso forte sostenitrice del TAV.
In tutto sono circa 150 le motivazioni che i valsusini e gli attivisti NO TAV hanno individuato per
dare vita e vigore alla loro lotta che si protrae ormai da venti anni. Una lotta non delegata a partiti e
sindacati, ma autorganizzata dalla stessa popolazione e secondo un modello decisionale assembleare
ed orizzontale e come esempio di democrazia diretta dal basso. Una lotta che ha dimostrato come
dietro gli espropri, dietro l’arroganza, dietro l’autoritarismo, dietro la repressione, dietro il
militarismo e dietro le diffamazioni mediatiche che gli abitanti della Val Susa e l’intero movimento
NO TAV subiscono ogni giorno, vi sono gli interessi della mafia, degli industriali, delle cooperative
e dei partiti.
Il TAV rappresenta il perfetto connubio tra mafia, politica, finanza, confindustria e
cooperative, una oligarchia di poteri funzionale al capitalismo e votata soltanto al profitto.
Essere NO TAV significa lottare contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla
natura.
Essere NO TAV significa ribellarsi al sistema capitalista che ci vuole schiavi a tempo
indeterminato o precari a vita, cassintegrati o licenziati.
Essere NO TAV significa contrastare le mafie ingorde di appalti e le istituzioni che ad esse
svendono beni comuni come l’acqua, il territorio, l’ambiente etc.
Essere NO TAV significa smontare l’articolato sistema delle mazzette, delle tangenti e dei
finanziamenti alla politica di palazzo.
Essere NO TAV significa non delegare, ma autorganizzarsi attraverso quei processi che permettono
di decidere scelte condivise dal basso contro il profitto di pochi e per l’interesse della collettività.

Collettivo AutOrganizzato R60

r60@inventati.org

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SABATO 10/3 SUONATA ITINERANTE NOTAV!

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NO ALL’ANTENNA! SI ALLA SALUTE!

r60@inventati.org

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2/3 RED ALERT! – ANTIFA CONNECTION

dalle 22 dj Cello in consolle – ska&rocksteady selection

NESSUNO SPAZIO PUBBLICO
NESSUNA INDIFFERENZA
PER RAZZISMO E NEOFASCISMO

all’interno dell’infoshop “La Tienda” potrete trovare il dossier informativo su CasaPound

“L’Europa sta vivendo un momento di forte difficoltà: la crisi economica, come sempre, porta con sè una grave crisi sociale densa di pericoli. Le formazioni ed i partiti di estrema destra, grazie a slogan populisti e politiche protezionistiche ed identitarie basate sul razzismo, si moltiplicano in maniera rapida e sistematica.

Laddove non trovano opposizione sociale alle loro teorie, questi gruppi trovano terreno fertile dal quale recuperare consensi ed espandere violenza ed autoritarismo, come nel caso dell’Ungheria, dove un governo di estrema destra ha da poco modificato la costituzione, introducendo forti limitazioni alla libertà di stampa e creando divisioni di “classe” su base etnica.
Non si tratta solo dell’Ungheria, ma anche di Bulgaria, Austria, Finlandia, Belgio…da nord a sud, da est a ovest, in tutta Europa avanzano formazioni le cui radici affondano nelle ideologie delle dittuature che, nel XX secolo, hanno fatto della supremazioa razziale il proprio manifesto politico.
In Italia questi gruppi si chiamano Lega Nord, CasaPound, Forza Nuova (più decine e decine di formaizoni minori…), ma la modalità resta la stessa: soffiare sul vento della crisi perché gonfi le vele della destra.

Red Alert è una serata per stare insieme, per connettere percorsi e soggettività che non vogliono rimanere inermi di fronte a questi fenomeni, ma che sono desiderosi di esserci, in prima persona, per dare battaglia al sistema economico neoliberista ed alle sue aberrazioni, per una società più giusta, in cui il pensiero razzista non possa mai più trovare cittadinanza!”

Lab AQ16
Collettivo AutOrganizzato R60
MOntagna Antifascista

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PRESIDIO DI SOLIDARIETA’ AL MOVIMENTO NO TAV

Questa mattina sono iniziati, con un blitz a sorpresa delle forze del
(dis)ordine, gli espropri dei terreni della popolazione valsusina al
fine di permettere l’ampliamento del perimetro di recinzione del
cantiere TAV, simbolo dello sfruttamento capitalista sull’uomo e sulla
natura e dell’arroganza dei padroni e dei politici a loro asserviti.

Nell’aderire al presidio delle 18 davanti alla prefettura in corso
Garibaldi a Reggi Emilia, il collettivo autorganizzato R60 esprime la
propia solidarietà al movimento NO TAV e ne sostiene la lotta senza se
e senza ma. Inoltre tutti i militanti del collettivo sono vicini a
Luca.
Forza Luca!

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